STORIE VERE E FANTASTICHE DELL’ISOLA DI SARDEGNA ----------ooOoo----------
QUEL PIRATA DI MIO "NONNO" “SU MERE DE SA IDDA “
----------ooOoo---------- Angelo meridda Dessena Maggio 2011 ----------ooOoo---------- “Dedicato” ALLA GRANDE FAMIGLIA dei MERIDDA sparsa in tutto il Mondo Angelo Meridda Dessena ------------------------In copertina : “TEMPESTA” disegno di Michele Meridda (anni 50) - matita su carta brunita al salnitro - ------<<o>>------ =< P R O L O G O >= Il cognome “Meridda” è un cognome abbastanza giovane, forse non più vecchio di cinque o seicento anni. La sua origine è molto incerta e non deriva certamente da “Mèrida “, città della Spagna di origine romana che anticamente si chiamava “Emerita Augusta” e che coll’andare del tempo la gente ha ridotto ai minimi termini sino a Mèrida. Alla città di Mèrida nello Iucatan, in America Centrale, sono stati gli stessi Spagnoli che, dopo la conquista dell’America hanno dato quel nome in ricordo della loro città in Spagna. Mio padre Gavino Meridda, raccontava che un suo parente aveva fatto una ricerca negli Archivi Comunali e Parrocchiali facendo il cammino a ritroso per scoprire la provenienza degli antenati ma giunto all’anno 1500, in una parrocchia della Gallura si era imbattuto in un Meridda del quale non venivano citati i genitori (figlio di e di) perché sicuramente sconosciuti ma per meglio definirlo c’era un’annotazione che lo qualificava come “Pirata Corsicano” e con quello la ricerca si era fermata. Anticamente era pratica comune negli Archivi Parrocchiali indicare in qualche modo le persone di cui non si conosceva il nome o i genitori per poterli eventualmente identificare in un futuro, e così si possono trovare: “nome e cognome pobre camminante” oppure solo “Un Pobre”, “Un Cavalcane”, ecc. Nei secoli passati in Corsica c’erano molti banditi che per sfuggire alla giustizia scappavano in Sardegna (in Gallura) essendo il posto più vicino e facilmente raggiungibile e lì si stabilivano in attesa di un eventuale condono. E’ possibile che uno di questi banditi, un pirata, scappato dalla Corsica, si sia stabilito in qualche stazzo della Gallura e lì, sfruttando il coraggio e lo spirito combattivo di fuorilegge, abbia assunto il ruolo di difensore dei poveri e dei deboli meritandosi la stima ed il rispetto di tutti i suoi compaesani tanto da essere soprannominato ed acclamato come il padrone (Su Mere) del paese (De Sa Idda). Col tempo, nella bocca dei Sardi, questo sopranome sarà diventato “Mere ‘E Idda”, “Mere Idda” ed infine “Meridda” (n.d.a.) ------<<o>>------ QUEL PIRATA DI MIO
"NONNO" ------<<o>>------ §- In uno sperduto stazzo della Gallura, Antonio, un vecchio quasi centenario, stava seduto sulla soglia di casa con le mani sulle ginocchia e gli occhi fissi verso il mare dove in lontananza si vedevano le alte montagne della Corsica. Il sole stava tramontando e tra i rossi bagliori che si rincorrevano sui monti al vecchio sembrò di vedere, come in un film, il lungo e avventuroso cammino della sua vita. Vedeva un giovane e robusto pastorello coi capelli lunghi, sporco e con gli abiti stracciati che pascolava sul monte Alticcione, nel Nord della Corsica, le sue magre capre semiselvatiche come lui dalle quali traeva a mala pena il necessario per sopravvivere. Figlio unico, era rimasto orfano di entrambi i genitori sin da piccolo ed aveva continuato a vivere nel loro freddo e misero ovile in cima alla montagna solo con le sue capre. Un giorno, cercando una capra dispersa, si era spinto lontano dall’ovile ed era arrivato ad un gruppo di case dove abitavano diverse persone che sia dall’aspetto fisico che dall’abbigliamento mostravano di vivere nell’agiatezza e nella prosperità. Venne accolto con molta cortesia e familiarità, tipica della gente corsicana, e così seppe dal capofamiglia, che loro traevano la loro ricchezza, oltre che dal lavoro, anche da tutte le cose che il mare, nei giorni di tempesta, buttava sulla spiaggia e che loro in parte tenevano ed in buona parte rivendevano. L’uomo aveva spiegato al ragazzo che se anche lui avesse voluto raccogliere le cose portate dal mare, avrebbe dovuto andare alla vicina spiaggia di Meria e li, anche lui, forse avrebbe potuto trovare qualcosa da portare a casa. Tornato al suo ovile, Antonio, aveva aspettato con impazienza che il tempo si mettesse al brutto e quando finalmente un giorno arrivò il forte vento di Maestrale con nuvolosi neri carichi di pioggia, si incamminò verso il mare. Quando giunse sull’alta scogliera che sovrastava la spiaggia trovò già diverse persone sedute attorno ad un grande fuoco e tra esse c’era anche il capofamiglia che aveva conosciuto tempo prima. Questi subito si alzò e gli andò incontro salutandolo con molta familiarità e lo invitò a sedersi vicino a lui. Antonio chiese al suo amico quando sarebbero potuti andare a prendere le cose sulla spiaggia e quello per tuta risposta gli fece vedere il mare burrascoso che muggiva paurosamente mentre le sue onde si infrangevano contro le rocce della scogliera. <<Vedi>> gli disse, <<non ci sono navi in mare e senza navi non c’è niente da raccogliere. Quando le navi arrivano in questo stretto passaggio tra la costa e l’isola di Capraia, che vedi li in lontananza, le forti correnti e le grandi onde spesso le spingono verso gli scogli e li si rompono a pezzi e tutto quello che c’è dentro viene spinto sulla spiaggia e noi allora carichiamo tutto quello che possiamo sui carri e lo portiamo a casa>>. L’uomo però, non conoscendo ancora il carattere e le idee di Antonio non gli aveva spiegato bene come veramente avvenivano le cose. Le navi infatti venivano attirate verso gli scogli ingannate dalla luce del grande fuoco che loro avevano acceso e che dai marinai veniva preso come un segnale di sicuro approdo, e che poi non bisognava lasciare vivi i superstiti per impedire che potessero denunciare il loro criminale operato. Queste cose però Antonio le imparò in seguito e non trovò nulla di strano in quel modo di fare visto che lui era abituato a vivere tutti i giorni di stenti e di sotterfugi, spesso non troppo leciti, nel suo ovile in cima alla montagna. Quella prima volta la nave era arrivata quasi all’imbrunire ed era già buio pesto quando urtò contro la scogliera e rotolò a pezzi sulla spiaggia. I pirati naufragatori avevano preparato delle rudimentali torce fatte con lunghi bastoni in cima ai quali avevano legato pezzi di lardo e di grasso e con quelle fumose luci cercavano di illuminare gli oggetti sparsi sulla spiaggia. Ognuno lavorava per conto proprio senza intralciare o litigare con gli altri tanta era l’abbondanza delle cose. Ben presto i più esperti avevano caricato il proprio carro e già si erano incamminati verso le loro case. Antonio, che mon aveva mezzo di trasporto, aveva scelto solo oggetti piccoli e leggeri come stoffe ed utensili che aveva messo dentro un grosso pezzo di vela che poi avrebbe annodato ai quattro capi facendone una specie di sacco. La fortuna dei principianti gli fece trovare anche un piccolo scrigno dentro il quale oltre a vari oggetti preziosi c’erano anche diverse monete d’oro. Contentissimo aveva salutato il suo amico e si era incamminato, col sacco sulle spalle, verso il suo ovile in montagna. Quando era arrivato a casa era già giorno inoltrato e subito si era dato da fare per mettere ad asciugare le preziose stoffe e i vari oggetti che aveva portato ed aveva vuotato su un tavolo il contenuto dello scrigno. Alla luce del giorno le pietre preziose e l’oro brillavano in un modo straordinario e lui, che non aveva mai visto niente di simile, rimase per molte ore ad ammirare estasiato quel piccolo tesoro che gli avrebbe permesso di comprarsi altre capre ed un carro coi buoi da usare nei futuri viaggi. Non sempre però le navi erano cariche di oggetti preziosi e spesso era tornato a casa con pochi stracci ed assi di legno che aveva usato per riparare ed ingrandire la casa dove abitava. Comunque a lui piaceva andare sulla scogliera nei giorni di tempesta perché almeno così interrompeva la monotona e solitaria vita che faceva su in montagna. Un giorno però un naufragio gli avrebbe cambiato la vita. All’arrivo del Maestrale e dei nuvoloni tempestosi aveva preparato il carro ed era sceso al mare. Sulla scogliera lo aspettavano già numerosi amici che avevano acceso un grande fuoco e scrutavano ansiosi il mare. Sul tardi, in mezzo alla foschia ed alla schiuma delle altissime onde era apparsa una grossa nave che dopo aver doppiato l’isola di Capraia cercava di infilarsi nel canale tra l’isola e la terraferma per mettersi al riparo sottovento. Il capitano, di certo un esperto lupo di mare, manovrava in modo straordinario ed accostava e si allontanava dagli scogli sfruttando le forti correnti ma ad un tratto aveva puntato la prua della nave in modo deciso verso la scogliera. Probabilmente le vedette gli avevano segnalato la luce del fuoco dei pirati e subito aveva manovrato convinto di infilarsi in un sicuro approdo. La grande nave aveva sbattuto contro la scogliera con un rumore talmente forte da superare il fragore della tempesta. Lo scafo si era spezzato in due e dalla stiva era uscito fuori tutto il carico. Ben presto i resti della nave ed il suo carico erano stati buttati sulla spiaggia e subito i pirati si erano dati da fare per scegliere e caricare sui carri le merci più preziose senza minimamente curarsi delle grida di aiuto dei naufraghi che arrivavano dal mare. Anche Antonio, ormai esperto, aveva caricato sul suo carro molti bagagli e rotoli di preziose stoffe assieme a qualche baule pieno di abiti ed oggetti personali dei passeggeri. Quando pensava ormai di aver finito e stava per andar via aveva visto in un punto un po’ lontano dai resti della nave, un grosso baule incastrato tra le rocce della scogliera. Si era avvicinato e dopo averlo aperto stava controllandone il contenuto quando da sotto gli abiti vide spuntare la testa di una ragazza. Alla rossa luce della fiaccola gli occhi sbarrati dalla paura e dal terrore di quella poveretta sembravano due tizzoni accesi. Istintivamente Antonio aveva preso il coltello per colpire ed eliminare così un pericoloso testimone ma il pianto ed il tremore di quel povero essere lo avevano mosso a compassione e dopo aver richiuso il cofano lo aveva caricato sul carro con tutto il contenuto. Aveva poi ricoperto il carico con i pezzi di una vela e, dopo aver salutato in fretta gli amici, era subito partito verso i monti. Quasi sicuramente nessuno aveva visto nulla ma Antonio, per essere più tranquillo, pungolava ed incitava i suoi buoi perché camminassero il più in fretta possibile. Era ansioso di arrivare sui suoi monti dove solo lui conosceva tutti i passaggi segreti ed i nascondigli dove all’occorrenza avrebbe potuto rifugiarsi se i suoi compagni avessero scoperto quello che aveva fatto. Spesso infatti durante le lunghe attese attorno al fuoco gli altri pirati raccontavano oltre che di ricchi ed abbondanti bottini, anche di compagni, che spinti dalla compassione o dal desiderio di avere delle persone da usare come servi, di nascosto avevano salvato qualche naufrago e lo avevano portato alle loro case ma appena gli altri lo avevano scoperto, per non correre il rischio che quei naufraghi potessero parlare con estranei, erano andati ed avevano ammazzato tutti e bruciato le case e le proprietà dei colpevoli. Quando Antonio giunse al suo ovile era già giorno inoltrato e subito aveva scaricato il grosso baule, lo aveva portato dentro casa ed aveva acceso il fuoco. Poi era uscito fuori ed aveva scrutato a lungo in tutte le direzioni per accertarsi che nessuno lo avesse seguito e che non ci fosse nessun pastore o cacciatore nelle vicinanze. Solo allora era rientrato in casa ed aveva aperto il baule. Dopo aver rincuorato, secondo lui, la ragazza con buone parole dette in corsicano, l’unica lingua che lui conosceva e di cui sicuramente quella non aveva capito nulla, l’aveva aiutata ad uscire dal baule e l’aveva fatta sedere vicino al fuoco. Poi aveva tolto dal baule e dal carro, tutti gli indumenti e li aveva messi ad asciugare vicino al fuoco ravvivando e rallegrando così con quei loro bei disegni e colori la nera e tetra cucina della casa. Allora si era dato da fare per preparare da mangiare perché sia lui che la ragazza erano digiuni da molte ore. La ragazza, rincuorata dal fare gentile e bonario di Antonio, si era subito seduta a tavola ed aveva divorato di buon grado tutte le buone cose che c’erano perché Antonio, ormai ricco, non viveva più di stenti e dal provento delle capre ma poteva comprare tutto ciò che voleva. Le capre le aveva però sempre tenute sia per compagnia che per ricordo dei genitori e poi erano un buon alibi perché apparentemente lui viveva solo dal lavoro di pastore. Il resto del giorno Antonio lo trascorse sistemando tutte le cose che aveva raccolto sulla spiaggia. La ragazza invece, dopo aver mangiato si era rincantucciata vicino al fuoco e li era rimasta a scaldarsi ed a smaltire tutta la paura ed il terrore che aveva accumulato in quelle ultime ventiquattro ore. Dopo cena Antonio cedette il suo letto alla ragazza e lui si sdraiò per terra vicino al fuoco. Nei giorni seguenti Antonio cercò con gesti e mezze parole di capire e di farsi capire dalla ragazza e piano piano, con molta pazienza, entrambi riuscirono a comunicare. Si chiamava Maria, aveva dodici anni e proveniva dal continente o forse dall’estero, Antonio non aveva capito bene, ed era diretta con i genitori verso un altro continente, la Spagna o forse la Francia. Ad Antonio però tutte queste cose non interessavano molto ma in questo modo si esercitavano a comunicare imparando lui le parole nella lingua della ragazza e lei le parole in corsicano. Dopo parecchi giorni era arrivato il brutto tempo ed Antonio aveva deciso di andare giù al mare per controllare se per caso qualcuno avesse scoperto qualcosa. Raccomandò a Maria di non muoversi dalla casa per nessun motivo e lasciati a guardia i suoi due cani feroci, era partito col carro. Giù alla scogliera aveva trovato tutto tranquillo ed il solito lavoro si era svolto nella normalità. Questa volta però aveva cercato e caricato sul carro un bel letto, diverse coperte, un piccolo mobile con dei cassetti e molte altre cianfrusaglie necessarie per non insospettire i compagni che al contrario avevano i carri stracarichi. Al suo ritorno all’ovile Antonio trovò tutto tranquillo e Maria ed i cani gli corsero incontro felici di rivederlo sano e salvo. Antonio mise i mobili nella camera più bella della casa dove Maria poté sistemare tutte le sue cose e dove avrebbe dormito in modo civile cosa a cui Antonio, vivendo da solo con le capre, non aveva mai pensato. Così anche lui aveva trasferito le sue cose ed il suo letto dalla cucina in una stanza dopo averla ripulita dalle cianfrusaglie che c’erano. La compagnia ed il nuovo tranquillo modo di vivere piacevano molto ad Antonio che non sentiva più la necessità di andare a trovare i compagni sulla scogliera nelle notti di tempesta. Tuttavia ogni tanto andava a trovarli perché il suo improvviso cambiamento non li insospettisse. Col tempo però diradò i suoi viaggi al mare e spesso, quando le navi tardavano più di un giorno ad arrivare, con una scusa o con l’altra ripartiva per tornare al suo ovile. Era passato più di un anno dall’arrivo di Maria nella sua casa quando una mattina vide un uomo con un cavallo carico che saliva la ripida strada che portava al suo ovile. Subito fece nascondere la ragazza ed assieme ai cani andò incontro al forestiero. Si trattava del suo amico capofamiglia che molto tempo addietro lo aveva instradato al mestiere di pirata. Era quasi irriconoscibile col viso stanco e con la barba, i capelli e gli abiti in disordine. Subito Antonio lo invitò ad entrare in casa ma quello rifiutò perché aveva moltissima fretta di raggiungere una località verso il centro della Corsica dove c’erano degli amici che gli avrebbero procurato un sicuro rifugio. Era passato li per avvertirlo che le autorità avevano scoperto il loro criminale lavoro ed avevano arrestato la maggior parte dei componenti della banda e che lui era riuscito a scappare appena in tempo perché avvertito da persone fidate. Gli raccomandato quindi di fare anche lui al più presto i bagagli e di cercarsi un posto sicuro dove nascondersi per molti anni perché le autorità conoscevano ormai i nomi di tutti. Dopo di che, risalito a cavallo si allontanò verso gli alti monti dell’interno. Appena il suoamico era scomparso alla vista Antonio chiamò Maria ed assieme, in tutta fretta, prepararono i bagagli. Presero con loro i soldi, i cani e solo cose indispensabili e leggere da poter portare in un cesto ed in una capiente bisaccia. Dovevano infatti partire a piedi perché nei posti dove dovevano passare non c’erano strade ed il carro era del tutto inutile. Iniziò così per Antonio e la sua compagna un viaggio interminabile sui monti e le valli paludose e malsane, sempre molto lontani dai centri abitati avvicinandosi con molta cautela agli ovili per comprare dai pastori generi alimentari di prima necessità. La loro meta era il sud della Corsica da dove avrebbero potuto fuggire con facilità in Sardegna. Finalmente dopo parecchi giorni di fatica e di stenti, sempre con lo spettro della polizia alle calcagna, erano giunti sulla costa nei pressi di Bonifacio da dove si vedeva la tanto desiderata Sardegna. Rimasero nascosti in una grotta della scogliera per molti giorni diffidando di tutto e di tutti perché era risaputo che quella costa era da sempre usata dai fuggiaschi per scappare dalla Corsica e quindi era molto frequentata dai gendarmi e da persone che si arricchivano riscuotendo le taglie dei ricercati che riuscivano a individuare e a denunciare. Per risparmiare i pochi viveri che avevano con loro, Antonio di notte raccoglieva in mare conchiglie e lumache e qualche volta riusciva a prendere anche qualche pesce. Di notte poi era sempre vigile per avvistare qualche barca di pescatori che potesse passare li vicino. Finalmente una notte senza luna una barca passò vicinissima alla grotta e Antonio, con fare disinvolto, salutò a gran voce l’uomo che stava ai remi. Quando quello gli rispose, Antonio gli chiese se aveva pesce da vendere. Per tutta risposta l’uomo accostò lentamente a riva ma appena fu sceso a terra Antonio gli mise sotto il naso una grossa moneta d’oro. Il pescatore capi subito le intenzioni di Antonio e senza parlare lo invitò con un gesto a salire in barca. Quando Antonio gli spiegò che non era solo ed aveva bagagli il pescatore gli mormorò che non c’era nessun problema e che voleva solo sapere dove voleva andare. In Sardegna gli rispose Antonio possibilmente in un posto lontano da grossi centri abitati. Il pescatore annuì con un cenno della testa e lo aiutò a caricare i bagagli. Quando la barca si staccò dalla riva ad Antonio sembrò che qualcosa si fosse staccato dal suo corpo e fosse rimasto nella sua terra ma nessuno al buio si accorse delle lacrime che gli bagnavano gli occhi. Dopo alcune ore il buon pescatore approdò nella spiaggia di Santa Reparata, a Capo Testa in Sardegna, aiutò Maria a scendere, portò giù i bagagli e dopo aver abbracciato i due ed augurato buona fortuna diede loro quelle poche provviste che aveva con se . Antonio vista la sua bontà e lealtà lo ricompensò volentieri con due monete d’oro. <Andate sempre dritti verso sud>, disse loro il pescatore, <troverete uno stazzo con delle brave persone e dite loro che vi manda Pietro>. I due, presi i bagagli e sempre scortati dai fedeli cani, andarono verso un folto gruppo di alberi non lontano dalla riva e li si sistemarono sotto grosse rocce per riposare e dormire. L’indomani, come se la Sardegna avesse voluto dare loro il benvenuto, era una bella giornata di sole e Antonio e Maria dopo aver fatto un’abbondante colazione si incamminarono verso lo stazzo che si vedeva in lontananza. Finalmente dopo tanto tempo potevano camminare alla luce del giorno senza doversi guardare da ogni parte per non essere sorpresi dai gendarmi. Verso mezzogiorno giunsero allo stazzo e li il nome di Pietro, come una parola magica, aprì loro le porte perché tutti facevano a gara per ospitarli e rifocillarli. Antonio chiese al capofamiglia se poteva procuragli un cavallo per poter trasportare i bagagli che avevano. Il buonuomo lo rassicurò che l’indomani avrebbe avuto il suo cavallo e intanto sarebbero rimasti loro graditi ospiti. L’indomani mattina Antonio caricati i bagagli sul cavallo, fato salire in groppa Maria e ringraziato e ricompensato con una moneta d’oro gli abitanti dello stazzo si era incamminato verso l’interno. Dopo aver camminato per tutto il giorno erano arrivati nei pressi di un altro stazzo posto in cima ad una collina da dove si potevano vedere la costa ed i monti della Corsica. Ad Antonio piacque molto quel posto perché gli sembrava di essere quasi a casa sua e perciò decise che per il momento si sarebbero fermati li. Gli abitanti, sentito il nome di Pietro e del capofamiglia dello stazzo dove erano stati il giorno precedente, li avevano accolti molto volentieri. Antonio chiese al capofamiglia se in quel posto c’era della terra in vendita perché lui aveva pensato di fermasi li. Il capofamiglia lo aveva accompagnato su di un’altura dove c’era un vecchio pagliaio abbandonato e gli aveva detto che se aveva voglia di lavorare avrebbe potuto dissodare e piantare quel terreno che lui gli avrebbe venduto a buon prezzo. Dopo aver pattuito il prezzo per una moneta d’oro Antonio aveva scaricato il cavallo, aveva dato una buona ripulita alla vecchia casa e si erano sistemati in modo provvisorio in attesa di riposarsi dal lungo e faticoso viaggio. Era un posto bellissimo e poi la sola vista della sua Corsica sembrava avergli dato una forza eccezionale. Così non passò molto tempo che Antonio con l’aiuto degli abitanti dello stazzo aveva costruito una grande e bella casa, aveva comprato del bestiame ed aveva iniziato a piantare un frutteto, una vigna ed un orto. Acquistata una certa tranquillità, la vita di Maria ed Antonio si era trasformata piano piano da semplice convivenza fraterna in qualche cosa di più e così avevano deciso di sposarsi. Gli abitanti dello stazzo furono felicissimi di avere una nuova famiglia nel loro territorio e parteciparono con grandi feste al loro matrimonio. Tutto sembrava essersi risolto nel migliore dei modi e Maria ed Antonio vivevano felici in armonia con i vicini. Ma Antonio non sapeva che da tempo quella buona gente era stata presa di mira da sfaccendati malviventi che ogni tanto andavano a depredare tutto quello che c’era di buono nelle loro case minacciandoli di morte se avessero denunciato il fatto. Un giorno due individui armati di stocco e pugnale erano arrivati a casa di Antonio e con fare prepotente gli avevano intimato di dar loro i soldi. In quel momento il sangue corsicano di Antonio condito con abbondante spirito piratesco si era messo a ribollire nel suo corpo e con un solo cenno degli occhi aveva aizzato i suoi feroci cani che erano saltati alla gola dei due malcapitati. Poi afferrato il suo stocco da dietro la porta stava per infilzarli come due polli quando un urlo della moglie lo aveva fermato. Maria aveva ragione non era più un pirata sanguinario ed era compito della legge fare giustizia. Allora aveva legato i due malviventi e, aiutato dai cani che ogni tanto li morsicavano, li aveva trascinati allo stazzo dei vicini e lì li aveva legati ad un albero nella piazza ed aveva chiamato a raccolta tutti gli abitanti. Il capofamiglia, tutto tremante, gli aveva raccontato che da molto tempo quei due assieme ai loro degni compagni li minacciavano e li derubavano ma che loro non avevano mai avuto il coraggio di ribellarsi. Allora Antonio aveva mandato un ragazzo a chiamare i gendarmi che furono subito informati di quello che accadeva e dei nomi dei complici. Per paura di rappresaglie Antonio comprò numerose armi che distribuì tra gli abitanti dello stazzo ed invitò anche quelli degli stazzi vicini a fare altrettanto. Lui stesso, espertissimo nell’uso di quelle armi aveva iniziato ad insegnare a tutti come dovevano adoperarle. Ben presto tutti, anche i bambini, sapevano usarle ed incoraggiati dalle parole di Antonio erano pronti ad adoperarle per difendere le loro famiglie e le loro case. Insegnò anche come rinforzare e fortificare le porte e le finestre delle case e mandò degli uomini in Corsica per comprare dei cani feroci come i suoi da tenere in ogni casa. Questi cani corsicani, grandissimi e ferocissimi, pronti a dare la vita per i padroni, erano sicuramente i discendenti di quei cani che anticamente i Romani avevano portato in Corsica ed in Sardegna per stanare dai monti i ribelli ed i banditi. E così i soldi di Antonio, che erano stati guadagnati in modo criminale e disonesto stavano servendo per far trionfare il bene, l’onestà e la giustizia. La notizia di un valoroso e coraggioso uomo che aveva armato e fortificato gli stazzi nel nord della Gallura si diffuse ben presto dappertutto e nessun malintenzionato osò più metterci piede. Tutti ormai consideravano Antonio il “Capo” assoluto (Su Mere), e ovunque andasse, era riverito ed accolto con grandi feste. Ben strano destino quello di un pirata, da bandito feroce e sanguinario a paladino del bene e della giustizia ma questo era sicuramente successo perché sia lui che la moglie discendevano da persone oneste e buone e il breve episodio di disonestà che gli era capitato nella vita non aveva per niente intaccato il suo buon carattere. Quando la gente, amici o nemici che fossero, parlava di Antonio lo indicava sempre come “Su Mere De Sa Idda” (Il Padrone Del Paese) perché nessuno ne conosceva il cognome. Neanche lui lo conosceva perché i genitori lo avevano sempre chiamato per nome e lui non aveva mai sentito pronunciare nessun cognome che forse neanche i suoi genitori avevano o conoscevano. Così all’inizio tutti lo chiamavano “Antonio Su Mere De Sa Idda” e poi in modo più abbreviato “Antonio Mere ‘E Idda”,..…e ancora “Antonio Mere Idda”……per finire col termine più semplice di….. ………… .…… “Antonio Meridda”. §- Il sole era ormai tramontato e sui monti scuri della Corsica non si vedeva più nessuna figura o immagine in movimento ed Antonio Meridda, chiusi gli occhi, si addormentò tranquillo e felice sperando di sognare la sua cara e tanto amata Corsica. .-.-.-.-.-.-.-.-.-.-. ( -Giuseppe Meridda Saba Poeta di Ozieri- ) (fotomontaggio digitale di Pier Gavino Meridda) .-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
Albero genealogico della famiglia Meridda di Ozieri dal 1800 Salvatore Meridda (17../18.. ?) sposa Maria Tanda (17../18.. ?) (hanno 4 figli) Meridda Tanda Meridda Tanda Meridda Tanda Meridda Tanda Antonio Raimondo Giuseppe Maria Gavino Giovanni nato Ozieri nato Ozieri nato Ozieri nato Ozieri 17- 04 – 1831 08 – 02 – 1839 13– 10 – 1841 29 – 09 – 1844
Meridda Tanda Antonio Raimondo sposa Elisabetta Saba (hanno 1 figlio) Meridda Saba Giuseppe Maria sposa Carmela Cattina nato Ozieri 17 – 09 - 1864 nata ???????????? (hanno 2 figli) Meridda Gavino Meridda Antonio nato Ozieri 08 – 10 – 1894 nato Ozieri ??????????
Meridda Gavino sposa Rosa Dessena (21 – 05 – 1904) (hanno 8 figli tutti nati ad Ozieri) Carmela (1926) Peppina (1928) Nino (Antonio) (1929) Graziella (Gabriella Maria Grazia) (1931) Mario (1934) Michele (1937) Angelo (1939) Rino (Salvatore) (1945)
Angelo Meridda sposa Maria Murru (Hanno un figlio) Pier Gavino Meridda --------------------------------------------------------
Albero genealogico della famiglia Meridda di Bitti dal 1800 Salvatore Meridda (17../18.. ?) sposa Maria Tanda (17../18.. ?) (hanno 4 figli) Meridda Tanda Meridda Tanda Meridda Tanda Meridda Tanda Antonio Raimondo Giuseppe Maria Gavino Giovanni nato Ozieri nato Ozieri nato Ozieri nato Ozieri
Meridda Tanda Giuseppe Maria sposa MELE ANTONIA ( Su Famosu ) ( hanno un figlio che si trasferisce a BITTI ) Giovanni Meridda (1864?) sposa Giovanna Farina (1866) (hanno 7 figli ) | Francesco Giuseppe (1890) | Giovanna Maria Antonio Maria (1892) | Giorgio Francesca (1895) | Pietrina (Piera) Giuseppa (1897)---> sposa Francesco Carzedda ----> (hanno 9 figli ) Annunziata (1900) | Luisa Ciriaco (1904) --> emigra in Argentina | Antonietta Giovanna (1907) | Elia | Annetta |Peppina IN ARGENTINA Ciriaco Meridda (1904) sposa Maria Luisa Leiva (hanno un figlio) Juan (Giovanni) Meridda (1930) sposa Nelly Ruani (hanno due figli) - Cesare Meridda - Cecilia Meridda ----------------------------------------- ------------------------------------------------------------- via San Giorgio 19 09070 Milis (OR) tf. 078351256 angelomeridda@gmail.com www.angelomeridda.it |